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San Vittore il Moro

San Vittore il Moro

Il comune di San Vittore si trova nel bel mezzo di quella che viene definita Valle dei Santi e la festa del patrono si celebra l’8 maggio. In questo periodo si svolgono i solenni festeggiamenti in onore del martire. La denominazione della valle trae origine dalla contiguità, all’interno della valle del Liri, dei territori di più comuni il cui toponimo deriva dal patrocinio di martiri cristiani, quasi tutti vittime delle persecuzioni iniziate già a partire dal I secolo d.C. e culminate con quelle più frequenti a cavallo tra il III e il IV secolo.

Il Santo Patrono del paese è San Vittore Martire. Ma chi era costui? Quando è vissuto? Perché il suo culto, di chiara origine lombarda, si è diffuso anche nelle nostre zone?

Per rispondere almeno parzialmente a queste domande dobbiamo analizzare sia la sua figura che il contesto storico in cui è maturata.

Vittore era detto il Moro, tuttora l’appellativo è rimasto, poiché originario della Mauretania. Questa regione, da non confondersi con l’attuale stato della Mauritania, si estendeva per tutta la fascia nord africana dall’attuale Algeria fino al Marocco. Affacciata sul mediterraneo, fu in principio un regno e successivamente, come molti altri territori, divenne provincia romana. Pertanto, Vittore aveva quasi certamente origini berbere pur essendo romano a tutti gli effetti al punto da diventare non solo centurione di stanzia a Milano, ma da essere addirittura, sembra, il preferito dall’Imperatore.

Il contesto storico in cui si forma la figura di Vittore è molto articolato e vale la pena ricordare che l’Impero Romano, nel periodo al quale facciamo riferimento, non è più quello aureo di augustea memoria. La sua egemonia inizia ad essere messa in discussione da una serie di fattori, non ultimo l’abnorme estensione ed eterogeneità che lo aveva reso, di fatto, poco governabile.

Vittore visse a cavallo tra il III e il IV secolo e in questo periodo Roma è guidata da Diocleziano. Quest’ultimo, dopo la sua ascesa al potere a partire dal 284, diede vita alla più massiccia e violenta persecuzione nei confronti dei cristiani che si fosse mai registrata. Discriminazioni di ogni genere c’erano sempre state all’interno dell’impero nei confronti dei cristiani, ma mai come durante la reggenza di Diocleziano. Il cristianesimo, d’altronde, da mero fenomeno religioso si era da tempo trasformato in un gigantesco movimento che minava alle fondamenta alcune certezze politiche di Roma. Erano in tanti ormai a seguire la nuova fede, tra i quali, appunto, il centurione Vittore. Diocleziano emanò una serie di editti senza precedenti che, oltre a revocare molti diritti conquistati dai cristiani, esigevano che essi si adeguassero alle pratiche religiose pagane. I cristiani furono spesso costretti alla clandestinità, rifugiati nelle catacombe che ancora oggi rappresentano una mirabile testimonianza della loro fede. Bisognerà attendere l’Editto di Milano promulgato dall’Imperatore Costantino nel 313 affinché le condizioni dei cristiani migliorassero notevolmente. Il successivo Editto di Tessalonica del 380 sancirà definitivamente il passaggio del cristianesimo a religione ufficiale dell’Impero.

Per fronteggiare la crescente ingovernabilità dell’Impero, minato al proprio interno da continue rivolte e lotte per il potere, Diocleziano inaugurò il sistema della “tetrarchia”, ossia del governo dei quattro. In una prima fase nominò come suo vice, un ufficiale di nome  Marco Aurelio Valerio Massimiano, attribuendo a lui il rango di Cesare e mantenendo per sé quello di Augusto. Le personalità di Diocleziano e Massimiano si completavano a vicenda. Tanto abile politicamente il primo quanto valoroso e capace militarmente il secondo. Successivamente Massimiano fu elevato a sua volta al rango di Augusto e nominò come suo Cesare per la parte occidentale Costanzo Cloro (padre del futuro Imperatore Costantino I). Diocleziano fece lo stesso con Galerio per la parte orientale. Nel giro di pochi anni l’Impero Romano si trovava suddiviso in quattro parti, ciascuna con il proprio imperatore che al di là dei rapporti gerarchici tra i vari ranghi (Augusto o Cesare), o della rispettiva ispirazione mitologica (l’uno legato alla figura di Giove, l’altro a quella di Ercole), amministravano più o meno autonomamente la propria parte geografica. Il territorio dell’impero fu a sua volta suddiviso in dodici “diocesi”, tre per ogni imperatore. A Massimiano, che più ci interessa in questa sede, toccarono quelle italica, ispanica e africana, con la gestione del potere fissata prevalentemente a Mediolanum. Ed è qui che si svolsero i fatti che vedono protagonista San Vittore il Moro.

Le gesta di San Vittore sono narrate nell’inno Victor, Nabor, Felix pii scritto da Ambrogio da Milano, meglio conosciuto come Sant’Ambrogio. Il Vescovo milanese ci tramanda la storia del soldato romano, condannato a morte per non aver abiurato la propria fede insieme agli amici Nàbore e Felice. Sembra che i tre soldati, una volta rivelata la propria fede cristiana, costretti a compiere una scelta tra la fede in Gesù e la fedeltà all’Imperatore furono risoluti e irremovibili nella scelta della prima. Vittore in particolare, pur ribadendo la piena fedeltà a Massimiano per ciò che riguardava la carriera militare e politica rifiutò categoricamente di abiurare. Dopo essere stato incarcerato per sei giorni senza cibo né acqua fu portato al cospetto dell’Imperatore e del suo subdolo consigliere Anulino (o Anolino) nella convinzione che le privazioni lo avessero convinto a rifiutare il proprio credo. Di fronte alla ribadita fermezza di Vittore l’ira di Massimiano divenne incontenibile e il soldato fu di nuovo incarcerato in condizioni ancora più dure: flagellato, torturato con il versamento di piombo fuso nelle piaghe causate dalle ferite, Vittore non cedette. Anzi, approfittando della distrazione dei suoi carcerieri fuggì. Catturato di nuovo fu condotto nella selva di Lodi per essere decapitato l’8 maggio del 303. La leggenda narra che dopo qualche giorno il Vescovo Materno si recò nella selva per recuperare il corpo che miracolosamente era intatto e vegliato da alcune fiere che impedivano a chiunque di avvicinarsi. Materno si occupò della sepoltura del corpo in un sacello che per le ricche decorazioni a mosaico fu chiamato "San Vittore in ciel d’oro". Quel sacello è tuttora custodito in una cappella della basilica di Sant’Ambrogio a Milano.

Come si sia diffuso il culto di San Vittore Martire nel nostro territorio, al punto da diventare il patrono del nostro comune non è dato saperlo. Di certo si sa che le gesta del Santo si siano diffuse grazie alla predicazione ambrosiana. Sant’Ambrogio aveva particolarmente a cuore il Santo mauretano, tanto che volle far seppellire accanto a lui suo fratello Satiro. Probabilmente l’autorevolezza e la fama del grande Vescovo milanese, unita all’incessante opera di proselitismo, portarono i primi monaci benedettini giunti nel territorio a dedicare una delle loro celle monastiche in onore del Martire milanese la cui testimonianza di fede, così forte ed incorruttibile, ben si prestava allo sviluppo di una nuova comunità religiosa. Singolare che i Santi che danno la denominazione ai comuni della omonima valle siano vissuti tutti tra il I e il IV secolo. Non può sfuggire inoltre l’estrema vicinanza geografica tra San Vittore e il comune di Sant’Ambrogio sul Garigliano, di cui è patrono proprio il Vescovo milanese che più di tutti venerò e diffuse il culto del nostro martire. Infine, è da notare l’estrema somiglianza tra gli stemmi del Comune di San Vittore e quello di San Giorgio, martire anch’esso per decapitazione lo stesso anno di San Vittore (303). Sono praticamente identici se non fosse per la creatura infilzata dalla lancia del Santo. In quello di San Giorgio, senz’altro più celebre, è un drago. In quello di San Vittore è un leone.

San Vittore è oggi protettore degli esuli e dei carcerati.

 

Curiosità:

  • la posizione del pulpito cosmatesco nella Chiesa di Santa Maria della Rosa, con i quattro leoni stilofori che sembrano essere a guardia dell’altare di San Vittore, è fortemente evocativa dell’episodio agiografico in cui il Vesovo Materno trova il corpo di San Vittore intatto e vegliato da alcune fiere.

  • Nella Chiesa di Santa Maria della Rosa è custodita un’autentica reliquia del Santo. Si tratta di un pezzo di osso, gelosamente tenuto in un pregevole reliquiario goticheggiante. Fu ottenuta verso la fine del XIX secolo dal Cardinale Ferrari, Arcivescovo di Milano, per intercessione dell’allora priore di Montecassino Don Ambrogio Amelli.

  • Nel XIX secolo tale Canonico Arciprete Giuseppe Spera compose un “Ludo Scenico Sacro” intitolato “San Vittore Martire Milite Mauritano”, dramma ispirato al martirio del nostro Santo. Esiste un solo esemplare originale dell’opera ed è in nostro possesso.

San Vittore il Moro
San Vittore il Moro
Pulpito cosmatesco
Imperatore Massimiano

Marco Aurelio Valerio Massimiano Erculeo​

Sacello di San Vittore

Sacello di San Vittore - Basilica paleocristiana

di Sant'Ambrogio (Milano)

Reliquia di San Vittore Martire
Reliquia di San Vittore Martire